
Presente, passato e futuro dell’atletica azzurra, nell’intervista rilasciata dal presidente FIDAL Stefano Mei al quotidiano Il Messaggero in edicola oggi, a firma Piero Mei, di cui pubblichiamo un estratto.
Stefano Mei, presidente dell’atletica italiana: una premessa. Non siamo parenti, solo omonimi.
«Bravo, meglio chiarirlo, perché magari se poi dice qualcosa di positivo pensano che…».
Beh, in questo momento dell’atletica leggera non si può che parlare bene, dati alla mano e medaglie al collo. Ed è subito Apeldoorn, Europei al coperto…
«Sarà una bella trasferta; non faccio pronostici numerici, tanto se ci azzecco è sempre merito di atleti e tecnici, come è vero, sennò è colpa mia. Ma è una bella squadra, la parità (di genere, ndr) è venuta naturalmente, e questo succede sempre più spesso, senza bisogno di “quote rosa”».
E se non andasse bene, c’è sempre la prossima gara, come dice lei, o anche quella dopo. Con tutti questi teenagers che corrono, saltano, lanciano. Lei la prende da lontano, pensa a Brisbane 2032…
«Per la verità ne ho parlato già a Tokyo, quando abbiamo esagerato con 5 ori e 10 finalisti dopo il nulla da cui venivamo. C’è stato un impatto mediatico che nemmeno ai tempi di Mennea e Simeoni. E i ragazzini, che già per via del Covid potevano fare solo atletica, hanno molto allargato il reclutamento. Tutto quell’oro è stato come vincere al Superenalotto quanto a promozione, e i risultati si stanno vedendo con le prestazioni che ottengono questi che io chiamo la “Generazione Tokyo”. La Doualla, la Castellani, la Valensin, Inzoli, Sioli e tanti, tantissimi altri. Per non dire poi dei giovani veterani, come Furlani o la lapichino. Erano bei tempi quelli di Mennea e Simeoni: questa atletica mi pare ancora migliore, è più “sparpagliata” no?».
E il tutto senza che la scuola…
«Senza la scuola, senza la cultura sportiva che hanno gli anglosassoni, un miracolo, e, aggiungo io, senza impianti; a cominciare dalle palestre, la base. Ma l’impiantistica costa: capisco i politici, forse lo farei anche io. Se la coperta è corta, se copri la testa non copri i piedi. Qui si è costretti a navigare a vista, l’impiantistica chiede costi, programmazione. Ce ne occupiamo solo quando organizziamo grandi eventi, Roma ’60, Italia ’90. Mi ricordo un “progetto Zauli”, altri tempi, almeno un campo d’atletica in ogni provincia. Costi oggi impraticabili senza programmazione. Eppure…»
Eppure?
«L’atletica è la base; su un campo di atletica, si possono fare quasi tutti gli altri sport, anche il tennis».
Lo faranno allo Stadio dei Marmi, il mitico “Pietro Mennea” durante gli Internazionali di Roma.
«Sia chiaro: è uno stadio di atletica, lo abbiamo appena ristrutturato, pista e luogo attraenti come abbiamo visto per gli Europei di Roma. Però, siamo generosi: se hanno bisogno di spazio… Ma dell’atletica resta. Sa che gli Europei di Roma sono stati lo spettacolo più televisto dell’anno? Eppure una sessione dura 4 o 5 ore, ci sono tempi morti che sembrano il contrario della cultura di oggi, quella degli highlights che è tipica dei giovani, però l’atletica l’hanno guardata perché è bella e batte la cultura dello studio sul Bignami, della scorciatoia».
E’ bella e?
«E’ lo sport più globale di tutti: 37 Paesi a medaglia a Parigi, chi può vantarsi di questi numeri? Dice che il calcio lo giocano tutti: vero, ma a poter vincere sono sempre pochi…».
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